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il luogo dei pioppi tremuli

Albaredo | Aspach

Albaredo è una delle due frazioni del Comune di Rotzo. La si incontra ad est di quest’ultimo spostandosi verso il centro dell’Altopiano dei Sette Comuni. La prima testimonianza scritta di Albaredo compare in un atto del 1250 in cui vengono indicate varie proprietà che Ezzelino da Romano acquista in Rotzo; la località viene nominata più volte e viene scritta in modi diversi: Alberedo, Albaredo, Albereda.
Particolarmente interessante è poi un documento del 1418 dove Rotzo e Albaredo vengono citate come due entità autonome; infatti “in seguito alla rinuncia del feudo da parte di Giacomo Thiene, il vescovo di Padova investe gli uomini di Rotzo dei diritti feudali delle possessioni riconosciute per consuetudine al comune e agli uomini di Rotzo e similmente gli uomini di Albaredo delle possessioni riconosciute per consuetudine al comune e agli uomini di Albaredo”. Trattasi quindi, di una chiara testimonianza dell’autonomia amministrativa di cui godeva ogni singolo agglomerato e delle modalità con cui la comunanza di problemi e interessi ha determinato le aggregazioni successive.

Nei secoli successivi il toponimo si conferma come Albaredo. Secondo le ricerche di Ivo Matteo Slaviero in “Rotzo – Toponomastica storica e aspetti di vita della comunità” (2014) il toponimo Albaredo è di origine veneta e deriva da ‘àlbara’, ‘albarèla’, termini botanici che stanno ad indicare il pioppo cipressino e specie attinenti come la betulla. Escludendo il pioppo cipressino o ‘albarella bianca’ che in cimbro è tradotta in ‘pérch’, il toponimo Albaredo potrebbe essersi riferirito in origine a una presenza di pioppi (populus tremula) o di betulle.
Nel suo “vocabolario domestico” pubblicato nelle “Memorie Istoriche dei Sette Comuni Vicentini”, l’abate Agostino Dal Pozzo Prunnar (1732-1798) indica con il cimbro ‘albar’ albero o pioppo e come ‘espa’ albarella, tremula.
La populus tremula è la più diffusa specie di pioppo in Europa centrale. Ritrovarla in montagna alle nostre latitudini è una consuetudine nonché una vera e propria suggestione, perché a differenza degli altri alberi nel bosco, il vibrare delle sue foglie al vento disegna un paesaggio sonoro e visivo unico e affascinante.

ASPACH è il nome cimbro di Albaredo che ancora oggi è conosciuto ed è in uso. Nei documenti storici Aspach non compare mai. In merito sottolineiamo che la gran parte dei notai ed ufficiali atti a redigere i documenti erano del luogo e si esprimevano nella loro lingua madre. Sull’etimologia del nome il riferimento punta a ‘aspe’, pioppo tremulo – dai dizionari cimbri di Umberto Martello Martalar (1899-1981) e dell’abate Agostino Dal Pozzo Prunnar – che unito al suffisso ‘ach’ che significa luogo, si compone in ‘luogo dei pioppi’.

Albaredo è una delle due frazioni del Comune di Rotzo. La si incontra ad est di quest’ultimo spostandosi verso il centro dell’Altopiano dei Sette Comuni. La prima testimonianza scritta di Albaredo compare in un atto del 1250 in cui vengono indicate varie proprietà che Ezzelino da Romano acquista in Rotzo; la località viene nominata più volte e viene scritta in modi diversi: Alberedo, Albaredo, Albereda.
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Particolarmente interessante è poi un documento del 1418 dove Rotzo e Albaredo vengono citate come due entità autonome; infatti “in seguito alla rinuncia del feudo da parte di Giacomo Thiene, il vescovo di Padova investe gli uomini di Rotzo dei diritti feudali delle possessioni riconosciute per consuetudine al comune e agli uomini di Rotzo e similmente gli uomini di Albaredo delle possessioni riconosciute per consuetudine al comune e agli uomini di Albaredo”. Trattasi quindi, di una chiara testimonianza dell’autonomia amministrativa di cui godeva ogni singolo agglomerato e delle modalità con cui la comunanza di problemi e interessi ha determinato le aggregazioni successive.

Nei secoli successivi il toponimo si conferma come Albaredo. Secondo le ricerche di Ivo Matteo Slaviero in “Rotzo – Toponomastica storica e aspetti di vita della comunità” (2014) il toponimo Albaredo è di origine veneta e deriva da ‘àlbara’, ‘albarèla’, termini botanici che stanno ad indicare il pioppo cipressino e specie attinenti come la betulla. Escludendo il pioppo cipressino o ‘albarella bianca’ che in cimbro è tradotta in ‘pérch’, il toponimo Albaredo potrebbe essersi riferirito in origine a una presenza di pioppi (populus tremula) o di betulle.
Nel suo “vocabolario domestico” pubblicato nelle “Memorie Istoriche dei Sette Comuni Vicentini”, l’abate Agostino Dal Pozzo Prunnar (1732-1798) indica con il cimbro ‘albar’ albero o pioppo e come ‘espa’ albarella, tremula.
La populus tremula è la più diffusa specie di pioppo in Europa centrale. Ritrovarla in montagna alle nostre latitudini è una consuetudine nonché una vera e propria suggestione, perché a differenza degli altri alberi nel bosco, il vibrare delle sue foglie al vento disegna un paesaggio sonoro e visivo unico e affascinante.

ASPACH è il nome cimbro di Albaredo che ancora oggi è conosciuto ed è in uso. Nei documenti storici Aspach non compare mai. In merito sottolineiamo che la gran parte dei notai ed ufficiali atti a redigere i documenti erano del luogo e si esprimevano nella loro lingua madre. Sull’etimologia del nome il riferimento punta a ‘aspe’, pioppo tremulo – dai dizionari cimbri di Umberto Martello Martalar (1899-1981) e dell’abate Agostino Dal Pozzo Prunnar – che unito al suffisso ‘ach’ che significa luogo, si compone in ‘luogo dei pioppi’.

image

”Albaredo, in tedesco Aspach, contrada di Rotzo, forse fu così appellata dalle molte pioppe tremule, ossia alberelle che v’erano.”
Agostino Dal Pozzo – Memorie Istoriche dei Sette Comuni Vicentini

cartina di Albaredo
Neln

Giovanni dei Neln

“il vecchio cimbro” ritratto ad Albaredo nei primi anni del ‘900 dal Kodak di Aristide Baragiola

La casa del Neln
“il vecchio cimbro”
ad Albaredo

Nella sua opera “La casa villereccia delle Colonie Tedesche Veneto – Tridentine” del 1908, lo studioso e linguista Aristide Baragiola (1847-1928) narra della vita e della casa di “un vecchio cimbro”, tale Gianni dei Neln nato ad Albaredo. La casa “è fatta di muri, sassi rossi, malta bianca, sabbia e calce”, scrive Baragiola, “Ha porte di pietra, gli stipiti lavorati … Il fumo fuoriuscendo dalle porte delle case ha annerito il muro frontale, internamente nella casa il soffitto è nero di fuliggine che luccica come vetro nero. Dentro da una parte c’è la cantina, dall’altra la stalla, e la scala per andare su nelle camere … In cantina vengono poste le patate, i cavoli cappucci nel mastello per inacidire, e la carne porcina in estate, insalata e lardo, e cacio che viene rosicchiato dai topi … il coperto è fatto di paglia strato a strato, legata con verghette e salci … Case fatte come le hanno i contadini in Stiria, in Carintia e gli abitanti di Gottschee nella Carniola.”

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